Contro l'aborto, in ogni caso

  1. LA DIGNITÀ DELL'UOMO E LA SUA NATURA SOCIALE
  2. I PRO-LIFE NON SONO NEMICI DELLE DONNE E NON GIUDICANO NESSUNO
  3. NON SI TRATTA AFFATTO DI UNA QUESTIONE RELIGIOSA
  4. LA LEGGE E LA SCIENZA NON C'ENTRANO NULLA
  5. UMANITÀ E INTANGIBILITÀ DEL CONCEPITO
  6. L'assenza di coscienza
  7. L'assenza di sofferenza
  8. L'alta mortalità
  9. La mancanza di autonomia
  10. Il grumo di cellule
  11. La nascita come discrimine
  12. L'assenza di passato
  13. L'assenza di individualità
  14. L'assenza di personalità
  15. Il corpo della donna
  16. La vita
  17. I gameti
  18. Cosa può dirci la scienza
  19. LA QUESTIONE FEMMINILE E LA DISPONIBILITÀ DEI CORPI
  20. L'aborto come strumento di oppressione delle donne
  21. La disponibilità del proprio corpo
  22. L'argomento del violinista e la questione degli stupri
  23. Il sostegno alle donne contro la normalizzazione dell'aborto
  24. LE ADOZIONI
  25. IL PROBLEMA DEGLI HANDICAP
  26. Le aspettative di vita
  27. Il legame tra genitori e figli
  28. Cosa può offrire la medicina
  29. CHIUNQUE PUÒ PARLARNE ED È GIUSTO PARLARNE
  30. IL RICORSO AI CASI ESTREMI
  31. LA DEFINIZIONE DI ESSERE UMANO
  32. LA NAVE DI TESEO
  33. L'OBIEZIONE DI COSCIENZA
  34. FRAINTENDIMENTI COMUNI
  35. FONTI PER LE IMMAGINI


LA DIGNIT
À DELL’UOMO E LA SUA NATURA SOCIALE

Partiamo da un presupposto che si possa considerare condiviso: gli esseri umani hanno valore in sé e non devono essere mai trattati come mezzi, in particolare non è lecito ucciderli solo perché, pur innocenti, arrecano disturbo a qualcuno. La semplice esistenza di una persona non può essere considerata un problema. Chi non la pensa così è un mostro cinico ed opportunista che, solo per questo, non è assolutamente credibile come difensore delle cause altrui, che evidentemente sposa solo per interesse personale.
Naturalmente se una persona ritiene che nulla abbia un senso di per sé e che le altre persone siano importanti solo finché tornano utili, è perfettamente coerente nel non ritenere l’aborto un dramma, vorremmo solo che lo ammettesse, con tutte le devastanti conseguenze che vedremo a breve, rinunciando alla sua maschera da “buono” e ad inquinare le informazioni sulla questione. Comunque anche da un punto di vista strettamente pragmatico la difesa dell’aborto potrebbe essere la cosa più sensata, infatti l’uomo è un animale sociale e vive e prospera solo in una società, per quanto piccola, ma allo stesso tempo compete per le risorse con altre specie. Ne consegue che l’essere umano deve riservare un trattamento speciale agli altri esseri umani, che non possono essere parificati agli altri animali. Ora, per ottimizzare il funzionamento della società è necessario che l’assistenza agli altri esseri umani sia incondizionata, indipendente da ulteriori criteri di valutazione, perché solo in questo modo ogni essere umano si sentirà al sicuro e sarà cooperativo, facendo funzionare bene la società. Questo significa che ogni criterio di valutazione aggiuntivo, basato sulla lucidità mentale, sulla capacità di soffrire, ecc, è come una piccola crepa che piano piano si allargherà facendo crollare rovinosamente la diga. Oggi uno può decidere che un gruppo umano non dev’essere tutelato, ma quando illustrerà le sue ragioni qualcuno si accorgerà che valgono anche per altri gruppi umani, ecc. Nessuno è al sicuro.
La storia della civiltà è una storia di inclusività: sin dall’alba dei tempi esiste il principio per cui tra pari ci si debba rispettare sotto certi riguardi, ciò che è cambiato nel corso dei secoli è l’estensione di questo gruppo di pari, un processo che è avvenuto perché evidentemente è logico, razionale, sano, benefico. Come sarà chiaro anche nel seguito, se feti ed embrioni non sono al sicuro, non lo saranno sul lungo termine nemmeno altre categorie di persone. La finestra di Overton, lo abbiamo già sperimentato tante volte, non è fantasia ma realtà.


I PRO-LIFE NON SONO NEMICI DELLE DONNE E NON GIUDICANO NESSUNO

Prima di entrare nel vivo della discussione è necessaria ancora una premessa. A chi dice che battagliare contro l’aborto è disumano perché ravviva il dolore nelle donne che hanno abortito, facciamo rapidamente alcune considerazioni:

1) Ci dispiace sinceramente per il dolore di queste donne, verso le quali francamente non nutriamo alcun sentimento negativo, ma se una campagna anti-abortista dovesse servire a diminuire il numero degli aborti, il bene raggiunto sarebbe, dal nostro punto di vista, superiore a questo male. Del resto non ci poniamo problemi a dire che la violenza domestica è sbagliata, che l’abbandono degli animali è sbagliato, che guidare in stato di ebbrezza è sbagliato, ecc. Eppure in ognuno di questi casi potremmo trovare persone che si sono rese colpevoli di tali misfatti e che a ripensarci oggi vengono divorate dal rimorso. Resta il dovere morale di denunciare ciò che è sbagliato, in modo che si ripeta sempre di meno, e i sensi di colpa di chi sbagliò in passato rientrano nelle normali ed inevitabili sfide della vita, che spesso è fatta di dolorosi riesami della propria coscienza.

2) Quando condanniamo l’atto, non stiamo dicendo nulla invece su chi l’ha compiuto. Anche se può sembrare assurdo ad alcuni, per noi è possibile considerare l’aborto un omicidio senza dover concludere che chi ha abortito è un’omicida, in quanto le intenzioni, imperscrutabili dall’esterno e forse anche dall’interno, sono il fattore che maggiormente qualifica il protagonista di un’azione. Una donna resa poco lucida dalla sofferenza, vittima di pressioni ambientali e magari anche ignorante su alcune questioni non è certo parificabile ad un assassino lucido. Per lo stesso motivo condanniamo l’idea di mettersi al volante dopo aver bevuto, senza per questo assimilare chi ha commesso questa leggerezza ai serial killer

3) Il fatto stesso che una donna che ha abortito possa sentirsi così facilmente colpita da una campagna anti-abortista è indice del fatto che la sua coscienza non è pacificata, indizio del fatto che l’aborto effettivamente deve avere qualche cosa che non va


NON SI TRATTA AFFATTO DI UNA QUESTIONE RELIGIOSA

E a chi pretende di zittire gli anti-abortisti sostenendo che le opinioni religiose sono per forza di cose personali e non possono essere imposte agli altri, facciamo presente che esistono argomenti contro l’aborto che nulla hanno a che fare con la religione (i seguenti saranno tutti di questo tipo). La riduzione alla mera questione religiosa torna comoda all’abortista che vuole evitare di affrontare gli argomenti dell’interlocutore, ma finché l’avversario non scomoda argomenti basati sulla fede non è lecita. Anche se la maggioranza degli antiabortisti effettivamente è anche credente, del resto è ovvio che siano i credenti ad essere più stimolati a riconsiderare le attuali norme permissive nell’ambito, tra di loro sono presenti anche atei ed agnostici.
Alla luce di tutto ciò, accusare gli antiabortisti di non avere argomenti razionali e “laici” è solo un furbo escamotage per squalificarli come interlocutori senza prendersi la briga di esaminare i loro argomenti.

LA LEGGE E LA SCIENZA NON C’ENTRANO NULLA

Un’altra cosa da chiarire, anche se è imbarazzante doverlo fare, tanto dovrebbe essere ovvia, è che legale e giusto sono due cose diverse, essendo il primo un concetto giuridico e il secondo un concetto morale, e che le questioni di bioetica non sono propriamente scientifiche quanto piuttosto filosofiche. Se ciò che è legale fosse anche automaticamente giusto moralmente dovremmo concludere che era giusto impedire gli aborti, prima che fossero legalizzati, o che tornerà ad essere giusto qualora gli antiabortisti riuscissero a renderli nuovamente illegali (e dunque perché ostacolarli nella loro campagna?). Se la legge esprimesse il bene morale dovremmo smettere di parlar male di sistemi politici e sociali del passato che consentivano delle cose che oggi riteniamo nefande (pensiamo al regime nazista, per dire il più ovvio), ma la verità è che dovremmo addirittura considerare che bene e male, in sostanza, variano non solo nel tempo, ma anche in base a latitudine e longitudine, visto che in alcuni paesi sono permesse cose che in altri sono vietate. Dovrebbe essere ovvio a chiunque che la legge è una convenzione adottata dagli uomini in base, certamente, a ciò che i più ritengono moralmente giusto (senza che questo implichi che questa maggioranza abbia torto o ragione sulle varie questioni), ma anche a tanti altri fattori. Poi, a voler essere pignoli, la legge italiana considera chiaramente l’aborto un male, limitandosi a considerarlo tollerabile in alcuni casi (in teoria molto più ristretti di quelli che effettivamente avvengono nella pratica) per il timore che senza una minima concessione possano avvenire cose peggiori. Una cosa sciocca tra l’altro, perché per tutelare un numero di donne che altrimenti si esporrebbero a pericolosi aborti clandestini si è permessa l’uccisione di un numero di gran lunga maggiore di esseri umani. Soprattutto considerando che il numero di aborti clandestini prima della legalizzazione dell’aborto è stato sicuramente gonfiato dalle parti politiche interessate alla legalizzazione, e che la legalizzazione e normalizzazione stessa dell’aborto ha creato sicuramente una cultura più incline ad esso, inducendo molte più donne a prenderlo in considerazione e quindi a praticarlo. Faccio solo presente che l’aborto, implicando la soppressione di un essere umano, è un male in sé, non una semplice pratica pericolosa, dunque non andrebbe legalizzato nemmeno se la sua proibizione portasse alcuni a farlo comunque correndo maggiori rischi. Non legalizziamo lo stupro solo perché c’è gente che stupra lo stesso in barba alla legge, non legalizziamo l’eroina solo perché nonostante il divieto esistono comunque gli eroinomani (eppure anche in questo caso il contesto dell’illegalità espone a rischi e problemi aggiuntivi), non rinunciamo ad aiutare i depressi con inclinazioni suicide solo perché esisteranno sempre persone che sfuggiranno alle cure altrui togliendosi la vita. Del resto accettare discorsi di questo tipo significa accettare dei ricatti morali e creare pericolosi precedenti: lo stesso aborto è stato reclamato da persone che praticavano aborti clandestini per poi venire a dire che erano pericolosi e andavano combattuti! In pratica creavano loro il problema per far credere che ciò che chiedevano, la legalizzazione dell'aborto, fosse una soluzione. Un discorso simile lo fanno i mafiosi quando vanno a chiedere il pizzo al negoziante in cambio della protezione del suo negozio (protezione che non servirebbe, se non ci fossero loro a minacciare ritorsioni naturalmente).
A chi dice che l’aborto oggi non potrebbe essere proibito senza causare pericolose tensioni sociali rispondiamo che intanto è discutibile, perché è la legge stessa che permettendolo contribuisce alla percezione della sua normalità e necessità , e poi che se anche questo fosse vero, lo sarebbe per colpa delle molte persone che al momento non sono più in grado di fare la cosa giusta. Ne consegue che l’attivismo pro-life è giustificato, nonché doveroso, perché mira a ridurre l’ignoranza delle persone tramite l’informazione, la debolezza delle madri tramite iniziative di sostegno finanziario, psicologico, medico e sociale, ecc. Dal momento che l’aborto non ha mai cessato di essere comunque una cosa sbagliata, la strada da percorrere non può che essere questa, quella della sensibilizzazione. Il timore delle tensioni sociali è dunque infondato, la legge infatti potrebbe cambiare solo in corrispondenza di un mutamento del sentire collettivo a favore dell’abolizione dell’aborto.

1) "Lo stesso aborto è stato reclamato da persone che praticavano aborti clandestini per poi venire a dire che erano pericolosi e andavano combattuti! In pratica creavano loro il problema per far credere che ciò che chiedevano, la legalizzazione dell'aborto, fosse una soluzione": una giovane Emma Bonino, forte della sua laurea in lettere, procura clandestinamente un aborto ad una donna


UMANIT
À E INTANGIBILITÀ DEL CONCEPITO

Ai pro-choice italiani del web facciamo presente, tra l’altro, che ai piani alti del dibattito bioetico internazionale generalmente perfino i sostenitori dell’aborto non negano più che feto ed embrione siano esseri umani e che l’aborto sia omicidio, basandosi la loro posizione più che altro sul ritenere lecita, in alcune circostanze, l’uccisione di un essere umano innocente. Ma dal momento che su questo punto ci troviamo un po’ indietro vale la pena esaminare tutti quegli argomenti che gli abortisti italiani scomodano di solito per negare umanità al concepito non ancora nato:

L’assenza di coscienza
In realtà il concetto di coscienza è così sfuggente e controverso che pensare di metterlo alla base di distinzioni e decisioni così importanti è pazzesco. Non solo non è ovvio accordarsi su cosa sia la coscienza, ma qualsiasi cosa sia, a voler essere rigorosi non possiamo arbitrariamente negarla al feto o all’embrione. Il pregiudizio sottostante a questa posizione è che la coscienza sia un prodotto del cervello, ed effettivamente entro un certo numero di settimane il concepito non ha ancora cellule cerebrali, e anche dopo che queste sono comparse ci vuole un po’ prima che il sistema nervoso del feto somigli a quello di un individuo umano già nato. Va detto che la legge consente in certi casi l’aborto anche quando il sistema nervoso del feto è praticamente già completato, dunque le norme andrebbero riviste già solo per questo, ma in realtà il problema è più complesso. Il motivo per cui si ritiene che la coscienza sia prodotta dal cervello è che la fisiologia del cervello sembra influenzare gli stati mentali, al punto che lesioni del cervello hanno spesso delle ricadute sulle capacità cognitive, mnemoniche, ecc. A parte il fatto che l’influenza avviene anche in direzione inversa, visto che l’attività mentale influenza lo sviluppo del cervello e le sue configurazioni elettrochimiche, bisogna sempre ricordare che quando si trova una correlazione tra due cose non è detto che il nesso sia causale, e se anche lo fosse non è banale stabilirne il verso (chi causa chi?). Anche l’autoradio quando è danneggiata restituisce in maniera distorta le trasmissioni radiofoniche, ma questo non significa che le trasmissioni siano prodotte all’interno dell’autoradio, che si limita in realtà soltanto a ritrasmetterle. Insomma, per quanto ne sappiamo la coscienza, nonostante un’evidente relazione speciale col cervello, non dipende per esistere necessariamente da questo, né deve potersi collocare realmente da qualche parte all’interno del corpo umano. Poi attenzione, perché alcune concezioni di coscienza rischierebbero di essere inutili per distinguere ciò che è umano da ciò che non lo è, essendo possedute presumibilmente anche dagli altri animali, oppure terribilmente problematiche, perché presumibilmente non applicabili a ciò che è ragionevole presumere della vita interiore di un neonato, al quale si spera non si voglia negare lo status di umano e il diritto a vivere. Si tenga anche presente che un essere umano nato, anche adulto, si può trovare in più occasioni in condizioni di coscienza ridotta o assente (in alcuni momenti del sonno, durante un coma, sotto l’effetto di droghe): in quei momenti l’individuo non è più umano ed è lecito sopprimerlo? A chi ribatte “ma quegli stati sono temporanei”, si faccia presente che anche la presunta assenza di coscienza nel concepito è temporanea, visto che questi è destinato a nascere e crescere, fino a divenire un individuo adulto.
Ma il vero punto è un altro: se anche fosse, perché l’assenza di coscienza dovrebbe consentire la soppressione dell’embrione o del feto? Perché questi non potrebbero soffrirne? Ma vale la stessa cosa per un neonato o per una persona colta in un momento di coscienza ridotta (una persona uccisa nel sonno non ha modo di dolersene, giusto?).  Perché si può uccidere chi non è ancora nato ma non chi è già nato a questo punto?
Forse si ritiene che l’essere umano derivi la propria dignità esclusivamente dalla facoltà della coscienza, alla quale si attribuisce non si sa perché una particolare nobiltà, forse perché è legata all’esercizio della volontà, alla possibilità di interagire costruttivamente col resto del mondo ecc. C’è solo un problema: che tutte queste cose non caratterizzano nemmeno un neonato, quindi per coerenza si dovrebbe considerare anche questi sopprimibile. In realtà la coscienza è una funzionalità umana come un’altra, e il cervello una struttura organica come un’altra. Considerare un embrione non umano e tranquillamente sopprimibile solo perché non ha cervello e, presumibilmente, nemmeno coscienza, equivale a considerare un neonato non umano e tranquillamente sopprimibile solo perché non ha la fontanella chiusa, i denti, ecc. E non è solo un problema dei neonati, anche bambini più grandi mancano di alcune caratteristiche tipiche delle fasi di sviluppo successive: i denti sono ancora da latte, la maturità sessuale non è sopraggiunta ecc.
In realtà l’essere umano è innanzitutto un’ontogenesi, e in quanto tale passa attraverso delle fasi. Embrione, feto, neonato, bambino, adolescente e adulto sono solo diverse fasi di sviluppo dello stesso essere, tentare di definire l’essere umano cristallizzando le caratteristiche tipiche di alcune fasi e basta è arbitrario e pericoloso: con lo stesso grado di logicità e coerenza si potrebbero considerare umani e degni di tutela solo gli esseri con sopraggiunta maturità sessuale, con tutte le nefaste conseguenze che possiamo immaginare (in primis la legittimazione dell’infanticidio).

L’assenza di sofferenza
Per molti il concepito potrebbe essere soppresso perché non potrebbe soffrirne. A parte il fatto che in alcuni casi è ammesso l’aborto di concepiti ad uno stadio di sviluppo compatibili con la sofferenza fisica e forse anche psicologica, rispondiamo che allora sarebbe legittima ogni uccisione, anche di esseri umani adulti, avvenuta senza arrecare sofferenza alla vittima, il che non può essere accettato. Non è poi la capacità di soffrire che definisce l’umano o che dà particolare dignità ad esso, altrimenti una persona nata senza la facoltà della nocicezione, e magari con danni all’amigdala che le impediscono di provare le comuni emozioni negative, non sarebbe umana e potrebbe essere uccisa. Senza contare, ribadiamo, tutti quei casi in cui tali facoltà vengono meno temporaneamente (sotto anestesia per esempio).

L’alta mortalità
Secondo alcuni entro un certo lasso di tempo il concepito potrebbe essere tranquillamente abortito perché tanto ha poche speranze di vita già di suo. Questo criterio, evidentemente del tutto arbitrario, porta anche a conseguenze assurde come le seguenti: in passato, quando la mortalità infantile era elevatissima, i bambini erano meno umani di oggi ed era accettabile ucciderli, e ancora oggi in situazioni di elevata precarietà della vita (dove si verificano guerre, carestie o epidemie) le persone devono essere considerate meno che umane e possono essere uccise? Per non parlare di tutte le persone ricoverate in terapia intensiva o degli anziani! Una persona che lotta per la vita in un ospedale non sarebbe umana? A che pro allora investire tempo e risorse per tentare di salvarla?
E se un giorno la scienza medica aumentasse le probabilità di sopravvivenza del concepito sin dalle prime fasi di sviluppo questi diventerebbe magicamente umano tutto assieme?

La mancanza di autonomia
Secondo alcuni, almeno entro certi termini temporali, embrione e feto non sarebbero umani, e non sarebbe grave ucciderli, perché fuori dall’utero non sarebbero vitali. Un altro criterio evidentemente del tutto arbitrario, ma vediamo a che conseguenze disastrose conduce: se il concepito non è umano e può essere ucciso solo perché non è autosufficiente allora lo stesso ragionamento può essere esteso ai neonati, che sono al di fuori della madre ma ancora dipendenti da essa per il sostentamento, e a tutte le altre categorie che necessitano di assistenza (malati, anziani, portatori di handicap). Senza contare che, a voler essere precisi e rigorosi, effettivamente ognuno di noi, senza eccezioni, ha bisogno degli altri, perché l’uomo è un animale sociale che prospera grazie alla cooperazione tra individui, alla divisione dei ruoli, ecc. Perfino chi abbandona la società per vivere da eremita può farlo solo grazie alla società stessa, che gli ha fornito, tramite la trasmissione culturale, tutte le informazioni necessarie per vivere da soli nella natura, nonché tutti quegli spunti che hanno creato il desiderio stesso di allontanarsi dalla società. Nemmeno l’eremita è mai solo, perché nella sua solitudine si confronta di continuo con la sua voce interiore, che si è plasmata nel confronto iterato con altri uomini.

Il grumo di cellule
Una frase tipica di chi difende l’aborto è che nei primi tre mesi il concepito sia un semplice grumo di cellule. Basta la foto di un feto di 11 settimane o anche meno in realtà per mettere in evidenza come anche nell’intervallo di tempo in cui l’aborto è permesso per legge il concepito abbia già un’elevata differenziazione istologica e morfologica, e soprattutto quanto sia praticamente identico, eccetto che per le dimensioni e, in misura minore, per le proporzioni, ad un neonato.
Ma anche nelle primissime fasi di sviluppo il concepito non può essere liquidato come un grumo di cellule. Di sicuro non ha ancora sembianze antropomorfe, se il modello è quello dell’individuo umano adulto, ma stabilire l’umanità di un essere su questa base è fallace per i motivi già detti quando abbiamo contestato l’idea di definire l’uomo cristallizzandone una fase, e porta inoltre a conseguenze ridicole e pericolose: un uomo reso particolarmente deforme da un incidente o da una malattia potrebbe essere considerato non umano e quindi sacrificabile. L’apparenza non può vincere sull’essenza: ciò che non riusciamo a riconoscere a prima vista come umano si mostra tale se esaminato con strumenti più sofisticati, nel caso dell’embrione poi basta aspettare e la natura umana in esso presente si paleserà da sola. Proprio il percorso ontogenetico tra l’altro mostra chiaramente che lo zigote o la morula non sono assimilabili ad una coltura cellulare in vitro, la quale prolifica secondo piani di struttura, organizzazione e differenziazione del tutto diversi, che non contemplano la comparsa delle varie fasi dell’ontogenesi umana. Per gli stessi motivi non si può paragonare con disprezzo, come fanno in molti, il concepito ad un tumore, dal momento che questo non cresce secondo i piani organizzativi che caratterizzano lo sviluppo embrionale. Se basta la proliferazione cellulare per paragonare un tumore o una coltura in vitro ad un embrione, gli stessi elementi bastano per declassare a tumore o a coltura cellulare anche esseri umani già nati, che in fondo sono anch’essi una continua proliferazione cellulare (attenzione, perché se basta la proliferazione cellulare e il fatto di dar fastidio a qualcuno per essere considerati un tumore, un giorno potreste essere trattati come tali anche voi, nel momento in cui doveste diventare di peso, o anche solo indesiderati, per qualcuno). Ovvio che l’assurdo si risolve smettendo di considerare solo le analogie e prendendo in considerazione anche le differenze, che oggettivamente ci sono.
Comunque anche in questo caso vale il solito discorso: decidere che un embrione non è umano finché non presenta un certo grado di differenziazione istologica equivale a decidere che un bambino non è umano finché non ha la dentatura di un adulto. Non ha senso stabilire arbitrariamente che le caratteristiche tipiche di una fase dell’ontogenesi possano qualificare un essere come umano o no.


2) Un feto di 11 settimane, quindi all'interno della finestra temporale in cui l'aborto è permesso. Non proprio un "grumo di cellule".


3) ... ma già a 56 giorni il nascituro ha fattezze chiaramente umane


La nascita come discrimine

Secondo alcuni il momento della nascita è ciò che davvero distingue un essere umano bello e fatto, degno di tutele giuridiche e considerazione, da un precedente essere incompleto non umano e indegno di premure. Per quale motivo? Per un semplice cambio di ambiente? Per la conquista di un maggior grado di autonomia, per la separazione fisica dalla madre? Ma allora perché non considerare umane le persone solo quando lasciano la casa dei genitori per andare a vivere da sole e in autosufficienza economica? E se l’attaccamento fisico ad un’altra persona è determinante, i gemelli siamesi non sono umani e possono essere uccisi, o almeno uno su due, solo perché incollati tra loro?
Anche in questo caso si è stabilito arbitrariamente che una caratteristica tipica di alcune fasi dell’ontogenesi debba essere scelta come discrimine tra umano e non umano, quando l’umano in realtà è tutta l’ontogenesi, comprensiva di ogni fase.

L’assenza di passato
Secondo alcuni il fatto che un embrione non abbia un passato, contrariamente ad un essere umano già nato, rende non grave la sua soppressione. Non si capisce perché, anche questo criterio sembra totalmente arbitrario, senza contare che qualsiasi cosa esista ha necessariamente un passato, per quanto piccolo, e che scorrendo il tempo con continuità non è possibile stabilire da quale durata in poi un trascorso temporale possa essere considerato sufficientemente lungo o ancora troppo breve. Se il problema è l’assenza di memorie, persone affette da amnesie temporanee o permanenti potrebbero essere sacrificate sull’altare degli interessi altrui, dunque il problema andrebbe ben oltre il caso degli embrioni.

L’assenza di individualità
Secondo alcuni sarebbe assurdo preoccuparsi dell’embrione nello stato di morula, perché in questa fase dello sviluppo l’embrione non ha nemmeno una sua individualità, visto che può smembrarsi in due per originare infine due gemelli, senza contare la possibilità che due zigoti in sviluppo possano fondersi per dar vita all’embrione di un organismo chimera. In realtà in entrambi i casi non è vero che manca l’individualità, semplicemente nel primo caso un’individualità cessa di esistere e dai suoi resti se ne costituiscono due, mentre nel secondo caso due diverse individualità cessano di esistere e nel farlo danno vita ad una terza, nuova, individualità. In pratica l’esame di questi casi ci fa scoprire solo due cose del tutto ininfluenti per il dibattito bioetico, e cioè che l’essere umano, in una fase precoce della sua ontogenesi, può morire smembrandosi o fondendosi con un altro, e che un’ontogenesi umana può iniziare dalla fecondazione di un gamete ma anche dalla riorganizzazione di materiale proveniente da zigoti precedenti.
Queste peculiarità dello zigote non possono avere alcuna importanza, non più delle peculiarità delle altre fasi della vita umana (il neonato che può succhiare il latte e respirare completamente, l’uomo in età fertile che può riprodursi sessualmente, ecc).

L’assenza di personalità
Si è detto spesso che feto ed embrione non sono persone, quindi possono essere uccisi.
Ma cosa si intende per “persona”? Persona in campo giuridico è solo un soggetto di diritto. Esiste la persona fisica, che è un singolo preciso essere umano, ma anche la persona giuridica, che può essere una corporazione, un patrimonio ecc.  Quindi è evidente che “persona” intanto non significa “essere umano”. Comunque, data la definizione giuridica del termine, scoprire che il feto non è persona per la legge non implica affatto che non sia umano, ma solo che non lo si è ritenuto degno di certi diritti, tutele e doveri, tutto qua. Abbiamo già detto che la legge non è verità ma pratica convenzione umana, con tutto quello che ne consegue, ma aggiungiamo che una minima forma di tutela del concepito esiste, altrimenti la legge sull’aborto non vieterebbe (perché in effetti lo vieta, anche se nella pratica tutti se ne fregano) l’uso dell’aborto come mezzo di controllo delle nascite. A questo punto feto ed embrione sono in una situazione analoga a quella del bambino: a questi sono garantiti molti diritti, ma non quanti ne vengono garantiti alle persone adulte, infatti il bambino non può votare, non può guidare, non può andare a vivere da solo, ecc. Questo non lo rende meno umano naturalmente.
Se poi il riferimento è invece ad un concetto più “filosofico” del termine, lo riteniamo troppo vago perché possa costituire una solida base su cui operare distinzioni, tanto più che oggi sono in molti ad attribuire una personalità anche agli animali, tanto per ribadire che “persona” non significa esattamente “essere umano”.

Il corpo della donna
Secondo alcuni l’embrione e il feto sarebbero parte del corpo della donna e non qualcosa a se stante, dunque la donna potrebbe farne ciò che vuole. In realtà però l’embrione si forma distaccato e si annida nell’utero solo in un secondo momento, dopo aver compiuto da solo già diverse divisioni cellulari, continuando però anche in quella nuova situazione a crescere e differenziarsi secondo piani organizzativi intrinseci ed autonomi, prendendo dalla madre solo nutrimento e protezione (proprio come un neonato, verso il quale però non riusciamo ad essere altrettanto cinici). Qualcuno, con lo stesso disprezzo di chi parla di tumori, ha paragonato l’embrione ad un parassita, visto che sfrutta la donna per avere protezione e nutrimento. Nel fare ciò ribadiscono comunque che questo essere in divenire è un soggetto altro dalla madre, per il resto possiamo solo dire che non avremmo problemi ad accettare l’idea che l’essere umano, in una prima fase del suo sviluppo, conduce vita parassitaria: questo non renderebbe feto ed embrione meno umani e non ne legittimerebbe la soppressione. Insistiamo nel dire comunque che anche il neonato acquista cibo e protezione dalla madre.

La vita
Qualcuno ha il coraggio di dire che l’embrione semplicemente non è vita, nonostante possegga tutti i requisiti minimi. Infatti un organismo vivente è caratterizzato dall’essere omeostatico ed omeoretico, e feto ed embrione certamente lo sono, e dall’avere un metabolismo, altra caratteristica di cui il concepito non difetta. Poi cresce e muta e interagisce con l’ambiente, e se qualcuno volesse obiettare che però non può riprodursi, oltre a poter indicare il caso dei gemelli nati per smembramento come un particolare caso, drammatico, di riproduzione, facciamo presente che nemmeno i bambini e le donne in menopausa possono riprodursi, per non parlare di tutte quelle persone che hanno malattie che comportano sterilità. Sono tutti non umani che si possono uccidere? Anzi, sono tutti non viventi?

I gameti
Qualche difensore dell’aborto attua una strategia abbastanza curiosa: accetta di seguire il ragionamento che identifica l’essere umano come un’ontogenesi, ma solo per poter poi dire “Ma allora devi ammettere che anche lo spermatozoo è un uomo, e che quindi la dispersione del seme equivale ad un aborto” (naturalmente ragionamenti simili possono essere basati sull’analoga premessa “anche l’oocita è un essere umano). In realtà i gameti sono cellule umane come quelle epiteliali, muscolari, nervose, ecc. Non sono esseri umani per lo stesso motivo per cui non lo sono le altre cellule del nostro corpo: sono organismi a se stanti, in quanto omeostatiche ed omeoretiche, ma allo stesso tempo sono distinte da noi, che siamo definiti dalla particolare rete di relazioni che intercorrono tra esse e non da esse stesse. Il fatto di essere costituiti da cellule in nessun modo conduce ad identificarci con esse, allo stesso modo in cui una società non si identifica con nessuno degli uomini che la costituiscono. Il gamete umano non è un essere umano perché da solo non produce ontogenesi, non è quindi la prima delle varie fase di sviluppo di un essere umano. Perché l’ontogenesi umana prenda l’avvio il gamete deve interagire con un sistema esterno che dia un suo contributo informativo (normalmente un gamete di sesso opposto, ma in condizioni di laboratorio sono realizzabili o immaginabili situazioni diverse come clonazione, partenogamia, ecc che però implicano sempre questo contributo informativo esterno), non ha quindi evidentemente in sé il piano di sviluppo dell’uomo.


Cosa può dirci la scienza
A chi volesse credere ingenuamente che sia stata la scienza a stabilire che entro tre mesi il concepito non è un essere umano, o addirittura non è vivo, invitiamo ad indicare gli studi e le ricerche a sostegno di questa tesi. La scienza produce per definizione affermazioni controllabili, quindi chi vuole scomodarla dev’essere in grado di esporre i suoi risultati, senza trincerarsi dietro autorità indiscutibili. La verità è che nessuno scienziato dirà mai che l’embrione non è vivo, e che comunque vita e umanità sono concetti filosofici che lo scienziato utilizza prendendoli da un sostrato già dato, non un risultato ottenuto dall’attività di ricerca.
Si deve ben comprendere cosa sia la scienza. La scienza è un metodo di ricerca che confronta ripetutamente modelli teorici con dati empirici, raccolti in condizioni controllate definite esperimenti. La verifica può portare ad una conferma, quando si presenta effettivamente un fenomeno che il modello prediceva, o ad una confutazione, quando il fenomeno atteso non si presenta, e in tutto ciò quello che la scienza ci fa acquisire è “solo” la capacità di prevedere o produrre fenomeni, null’altro. Non esiste un risultato che possa dirsi certamente conclusivo, perché un modello che ha ricevuto solo conferme potrebbe ricevere prima o poi una smentita che imporrebbe come minimo una correzione. Stando così le cose, la scienza può solo prendere atto di ciò che si osserva in natura e ipotizzare una rete di relazioni in grado di render conto di come si presentano i dati (e il modello adottato, pur essendo efficace, non è in sé la realtà, visto che due modelli diversi possono spiegare altrettanto bene lo stesso insieme di dati, e visto che prima o poi un modello che fino ad un certo punto ha funzionato potrebbe mostrare dei limiti che inizialmente non aveva). Applicando ciò che abbiamo appreso sulla scienza alla questione dell’aborto cosa emerge? Che la scienza a rigore non può dirci se l’embrione è umano o anche solo vivo, ma solo se presenta o meno certe caratteristiche empiricamente verificabili. Se poi queste caratteristiche sono compatibili con le definizioni di vivo e umano, allora diremo che l’embrione è vivo ed umano, ma queste definizioni non possono scaturire dal lavoro dello scienziato, il quale, quando le usa, le prende in realtà in prestito dal mondo della speculazione filosofica.
Ad ogni modo, i dati scientifici sono concordi nell’attribuire a embrione e feto quelle caratteristiche che la filosofia, e non la scienza, usualmente attribuisce all’essere umano vivo.
A chi non riesce a convincersi di ciò, persuaso del fatto che il limite dei tre mesi posto dalla legge debba avere una base scientifica, ricordiamo che in altri paesi i limiti sono diversi, mentre le osservazioni scientifiche dovrebbero essere replicabili in ogni parte del mondo allo stesso modo. Come mai, se la base della legge è la scienza, la legge varia con così tanta facilità da un paese all’altro?

LA QUESTIONE FEMMINILE E LA DISPONIBILITÀ DEI CORPI
Una presentazione disonesta del problema bioetico dell’aborto viene fatta da chi lo pone come una questione di autodeterminazione femminile e di padronanza del proprio corpo. Chi la mette in questi termini sostiene che voler impedire alle donne di abortire significa esercitare un potere sul loro corpo, e più in generale che la cultura pro-life sia una manifestazione di un pensiero autoritario patriarcale che desidera imporre alle donne costumi e ruoli sociali.

L’aborto come strumento di oppressione delle donne
In realtà questa cosa potrebbe avere un minimo senso se effettivamente il problema riguardasse solo le donne, in realtà però abbiamo dimostrato come non sia possibile far finta che il concepito non sia un altro essere umano coinvolto nel problema. Non è dunque legittimo ridurre la questione al diritto della donna di disporre del proprio corpo, visto che abortendo effettivamente sta disponendo anche del corpo, e della vita, del figlio. Per quanto riguarda l’oppressione patriarcale, basti considerare che inizialmente all’interno del mondo femminista molte militanti accolsero con ostilità l’aborto, perché lo ritenevano uno strumento del prepotente mondo maschile per disporre ancora meglio delle donne. Infatti una donna che resti incinta non ha più alcun diritto di reclamare un impegno dal padre del bambino, perché questi può sempre indirizzarla verso l’aborto, e il datore di lavoro parimenti non ha nessun pungolo morale che lo sproni a concedere congedi di maternità o cose simili, perché se la donna vuole conservare il posto è logico che rinunci a fare la madre.
In sostanza, l’aborto è uno degli strumenti che ha reso più potenti le pressioni dei seduttori e dei padroni senza scrupoli, che ha consegnato loro, chiavi in mano, le donne. La cosa poi ha danneggiato anche i maschi, abbassando i loro standard morali attraverso la graduale abitudine ad una sempre maggiore irresponsabilità.

La disponibilità del proprio corpo
Per quanto riguarda la disponibilità del proprio corpo, bisogna riconsiderare alcune cose che vengono date ingiustamente per scontate. Se è vero che in condizioni normali il corpo delle persone non può essere soggetto a controlli, è anche vero che in situazioni eccezionali ammettiamo senza problemi, o dovremmo ammettere senza problemi, che le cose stiano diversamente. Se si teme ragionevolmente una pericolosa epidemia le autorità devono avere il potere, nel rispetto del dovere di trasparenza e proporzionalità, di obbligare un eccesso di cittadini recalcitranti alle vaccinazioni, per non parlare di cordoni sanitari, blocchi stradali, analisi mediche obbligatorie ecc. Quando la necessità lo richiede poi il nostro sistema giudiziario mette la gente in galera o la vincola alla propria abitazione, e se una persona viene trovata ferita e incosciente per strada è necessario soccorrerla anche se non ha potuto dare il proprio consenso, ecc. Ogni genitore poi dispone di continuo, autoritariamente, del corpo e dell’esistenza dei propri figli, generalmente con ottime intenzioni e con risultati positivi. Evidentemente quindi esistono situazioni in cui il corpo, entro certi limiti, può essere gestito da altri. Non è vero, come molti dicono, che la donna che mette a disposizione il proprio utero per un figlio che non vuole è come una persona obbligata a donare il sangue, per il semplice fatto che dalla donazione di sangue di un singolo individuo non dipende una vita che solo con quel sangue può continuare ad esserci, infatti il sangue necessario potrà sempre venire da altre fonti, mentre un embrione o un feto possono essere salvati solo dalla loro madre (a proposito, qualcuno ha anche sostenuto in modo del tutto arbitrario che il nascituro non sia umano, o comunque passibile di tutela, perché la madre non può affidarlo alle cure di altri, ma secondo questo ragionamento in una comunità isolata in cui un neonato può sopravvivere unicamente se allattato dalla madre l’abbandono del figlio sarebbe misteriosamente accettabile). Il giorno in cui sarà possibile espiantare il concepito e fargli continuare lo sviluppo al di fuori dell’utero allora sarà lecito decidere di non continuare a tenere il proprio figlio in grembo. Comunque le donazioni di sangue non sono obbligatorie ma non è detto che sia sbagliato renderle tali, di sicuro non è necessario ora, ma nell’eventualità che un giorno ci sia una penuria eclatante potrebbe essere una possibilità da accettare.
Naturalmente non accettiamo invece paragoni con la donazione di organi, che avviene da donatore in morte cerebrale o da persona in salute che però vede ridursi la qualità e le aspettative della propria vita in maniera irrimediabile e significativa. La donna che deve portare avanti una gravidanza invece, allo stato attuale della medicina, non va incontro a rischi per la salute significativamente maggiori di quelli insiti nella stessa pratica abortiva (infatti l’aborto ha i suoi rischi, si sappia!), anzi, e resta dunque in piedi soltanto la questione dell’eventuale sofferenza psicologica di chi non è pronta ad essere madre, ma su questo torneremo più avanti. Tornando al paragone con le donazioni, si tenga anche presente questa importante distinzione: una donazione, per esempio, di midollo osseo, è una situazione che si deve creare apposta, quindi è giusto lasciare che il possibile donatore scelga in coscienza se esporsi ai rischi di una tale donazione, la gravidanza invece, nel momento in cui è avvertita come foriera di rischi, è già in essere.

L’argomento del violinista e la questione degli stupri
Il famoso argomento del violinista, inventato per tentare di giustificare l’aborto almeno nel caso di gravidanza conseguente ad uno stupro, è completamente fallace per vari motivi. Intanto, per quanto riguarda la gravosità della situazione, il parallelo è fasullo: la donna attaccata al violinista è praticamente sequestrata, mentre la donna incinta può uscire di casa e condurre una vita sufficientemente normale, per quasi l’intera gravidanza (che può ridursi in durata qualora sia ragionevole indurre un parto anticipato) addirittura con sforzi contenuti. Poi il violinista non discende dalla donna e non le scalcia in grembo, ed è ovvio che a terapia finita riprenderà la sua strada considerandola una sconosciuta, mentre il feto, che fa esattamente l’opposto, in virtù di ciò molto spesso riesce a farsi accettare e poi amare anche dalla madre che inizialmente non lo voleva. Ma poi se fosse lecito far morire qualcuno solo perché dipende da un corpo altrui sarebbe giusto, per fare un esempio, assecondare una persona che desidera far fuori il suo gemello siamese, che non gli causa problemi di salute ma solo fastidio, e che in seguito alla separazione mancherebbe di quelle parti di corpo necessarie alla vita. Al cospetto di un esempio di questo tipo una volta un tale ebbe il coraggio di dire che andava a conferma del fatto che i diritti in realtà dipendono dal contesto, e che quindi in alcuni casi era lecito uccidere un essere umano innocente come avviene nell'aborto, perché ad esempio un gemello siamese palesemente non ha il diritto alla privacy perché non può usufruirne. Il discorso in realtà non ha senso e si basa sull'aver confuso l'impossibilità di far valere un diritto (che intendiamo in un senso più ampio che va oltre la legge, visto che abbiamo dimostrato che la legge non può dirci nulla sulla questione morale) con la sua inesistenza: un uomo a cui venga rubato qualcosa di valore ha diritto a ricevere giustizia, ma a volte capita che sia impossibile acciuffare il ladro e recuperare la refurtiva, ogni persona ha il diritto ad essere curata e a veder salvaguardata la propria salute, ma prima o poi un male per cui la medicina non può far nulla si presenta, ecc. Il gemello siamese continua ad avere il diritto alla privacy, solo che al momento non siamo in grado di farlo valere, ciò non toglie che se un giorno dovesse divenire tecnicamente possibile lo si farà (in effetti è uno dei motivi per cui separiamo i siamesi che sono separabili). Stando così le cose non ha senso dire che i diritti sono contestuali, e comunque, se anche avesse senso, l'impossibilità di far valere il diritto alla privacy non rende impossibile far valere il diritto alla vita, quindi questo resterebbe comunque in piedi: tanto il gemello siamese quanto il nascituro nell'utero della madre, pur non potendo essere separati dall'altro a nostro arbitrio, possono essere mantenuti in vita, perciò anche seguendo la logica perversa che nega l'esistenza di un diritto laddove non si riesce a tutelarlo, non si può dire che non abbiano diritto alla vita. E comunque tra i diritti esiste evidentemente una gerarchia e il diritto alla vita è sicuramente al di sopra del diritto alla libertà e all'indipendenza, perché senza il primo non può darsi il secondo mentre il contrario sì, e non si può superare questo problema sostenendo che il vero valore non è la vita in sé ma solo la vita libera, perché allora potremmo dire che la vita di una donna che non può uccidere il figlio, perché già nato o perché, pur nell'utero, ha superato il limite temporale in cui l'aborto è concesso, non vale più nulla. Oppure, in caso di epidemia, se allo stato torna più pratico ammazzare le persone anziché metterle in quarantena, e sotto certi aspetti lo è, è lecita la soppressione delle persone, perché in alternativa avrebbero vissuto una vita non libera. Temporaneamente, certo, ma la stessa cosa si può dire di madre e nascituro, che restano connessi soltanto finché dura la gravidanza.
Troviamo comunque sconfortante che si possa accettare che un nascituro debba pagare per lo stupro in cui è stato concepito e per il quale è completamente innocente. Soprattutto perché lui è vittima quanto la madre, e i due potrebbero in realtà confortarsi a vicenda nel corso della vita e trovare dal loro sodalizio un senso nella tragedia. In effetti tenere il frutto di uno stupro significa vincere il male, collocare perfino quell’esperienza orrenda all’interno di un disegno, mentre l’aborto toglie un incomodo materiale ma lascia un irrisolto penoso.
Abbiamo tanti casi di donne che hanno tenuto il figlio avuto dal loro stupratore e l’hanno amato, eppure continua a circolare la retorica del “non posso tenere un figlio che magari mi ricorderà sempre il mio stupratore”. La realtà dei fatti insegna che si può amare con gioia un figlio anche se ricorda l’altro genitore con il quale i rapporti sono orribili, e del resto se accettassimo la soppressione di un feto solo per il timore che possa somigliare al padre stupratore, per motivi analoghi dovremmo accettare l’infanticidio nel caso in cui un bambino già nato ricordi alla madre il marito che nel frattempo si è rivelato un mostro per qualche motivo. In ogni caso, c’è sempre l’adozione. In generale, non si può uccidere una persona innocente solo perché ci arreca un qualche fastidio, nemmeno se siamo i tutori legali di quella persona, altrimenti dovremmo riconoscere ai genitori il diritto di sopprimere i loro figli, fino alla maggiore età, per i motivi più disparati, dalla sopraggiunta povertà ad una disabilità contratta dal figlio. In effetti anche solo se a contrariare i genitori è la sopravvivenza stessa del figlio, non importa dove e come.

Il sostegno alle donne contro la normalizzazione dell’aborto
Il danno più grande alle donne che devono affrontare certe sfide comunque lo fanno proprio i militanti pro-aborto. La vita è fatta, inevitabilmente, di prove dure, e la tragedia può sempre verificarsi (a te è capitata la gravidanza indesiderata, ad altri una malattia genetica, ad altri ancora la morte di un figlio, non viviamo in un paradiso terrestre e mai ci vivremo, non volerlo accettare non fa altro che moltiplicare le sofferenze). Nessuna società, per quanto perfetta, potrà mai eliminare la sofferenza dal mondo, e l’essere umano non può far altro che accettare la quota di mali inevitabili che gli piombano addosso, senza incolpare la società ma soprattutto senza permettersi di tentare di lenire la propria sofferenza falciando altre vite umane. Per fortuna la società, tra i suoi compiti, ha anche quello di non lasciare sole le persone nel dolore, quello di offrire assistenza materiale e psicologica, ecc. Se la nostra società non è efficace sotto questo aspetto, la soluzione è lavorare su di essa perché lo diventi, non rinunciarvi. Una persona adeguatamente sostenuta e aiutata reagisce anche meglio alle sfide della vita, trova in sé più facilmente quelle risorse che non sapeva di avere, e può infine guardare in faccia i mostri più orribili. Al contrario, una società alienante in cui ognuno viene lasciato solo, e in cui vengono normalizzate e incoraggiate le più turpi scappatoie, non incoraggia nessuno a tentare di reagire ai rovesci della sorte. Anzi, sapere che esiste una via comoda, legale e non stigmatizzata dai più, addirittura difesa con orgoglio da molti, fa desistere subito dal tentare le vie più impegnative. Oggi una donna che rimane incinta senza che lo avesse programmato non va ad abortire perché le sarebbe davvero impossibile tenere il figlio, ma solo perché l’opzione aborto è la prima che le viene in mente, per pressioni ambientali, e perché la portata di ciò che implica non viene rettamente intesa o viene facilmente rimossa, grazie alla complicità di una società che sempre più si indirizza verso un futuro in cui il debole e il bisognoso vengono considerati solo un peso morto di cui sbarazzarsi.
Naturalmente in tutto ciò non vale nemmeno la pena soffermarsi su obiezioni del tipo “non posso portare avanti la gravidanza perché non voglio accollarmi l’impegno che richiede”, perché se non si è disposti a cambiare temporaneamente il proprio stile di vita per salvare una vita evidentemente si ha una tossicodipendenza o una scala di valori e priorità nella vita tutta sballata (proveremmo orrore a sentire una star di Hollywood dire che ha ucciso bambini per favorire la sua carriera, ma non facciamo altrettanto quando sostiene, per lo stesso scopo, di aver abortito più volte). A persone di questo tipo non potrà che far bene un allontanamento forzato per un certo periodo da ciò che evidentemente le assorbe in maniera morbosa.
Comunque, in sintesi, il punto fondamentale è il seguente: se si ammazza il nascituro perché altrimenti la madre ne soffre, è lecito ammazzare anche il ragazzino di 10 anni, se la madre per vari motivi anche in questo caso prova sofferenza nell’allevarlo o anche solo nel saperlo vivo.

LE ADOZIONI
I sostenitori dell’aborto non amano prendere in considerazione l’opzione adozione. A parte che non toglierebbe l’incomodo dei nove mesi di gestazione alla madre (ma a questa cosa abbiamo già risposto), temono anche, a quanto dicono, due cose: che la madre possa vivere come un dramma la separazione dal figlio o che il figlio possa poi crescere con una ferita insanabile per essere cresciuto senza la propria madre biologica. A tutto ciò si aggiunge la disonestissima e falsa dicotomia “o lo abortisci o cresce in freddi istituti privi di amore”.
Rispondiamo che la madre che vive come un dramma la separazione dal figlio è una madre che quantomeno sta iniziando a capire che tra lei e quel bambino c’è un legame, e dev’essere aiutata quindi, piuttosto, a comprenderlo e a potersene prendere cura. Per quanto riguarda i figli cresciuti in case-famiglia o da genitori adottivi, tra questi ce ne sono moltissimi ben lieti della chance che è stata loro data. Può darsi che anche per loro la separazione dai genitori biologici sia una ferita rimasta aperta, ma nulla che possa impedire alle loro vite di essere piene di senso e soddisfacenti. Nessuno può stabilire a priori che un bambino adottato avrà una vita miserabile, e a conti fatti generalmente ciò in effetti non avviene, almeno nel nostro paese. Naturalmente si possono fare molte cose per aiutare questi bambini a vivere al meglio la loro condizione, ed è in questa direzione che si deve operare, tenendo poi sempre a mente che ad ogni persona spetta una piccola quota di sfide e sofferenze che non può essere eliminata, perché la vita è questa per tutti, anche per chi è già nato e per chi una famiglia ce l’ha avuta. Del resto anche un bambino già nato può ritrovarsi orfano inaspettatamente, basta che muoiano i suoi genitori. In casi di questo tipo il bambino va soppresso per evitargli sofferenze?
Comunque è anche spregevole che si dipingano le famiglie e gli istituti che accolgono gli orfani come dei luoghi di terrore e angoscia che non sono, è assurdo affermare seriamente che per quei bambini è meglio la morte che queste soluzioni. Tra l’altro se il problema è che le adozioni in Italia sono difficili, bisognerebbe lavorare per renderle più facili, oltre che per aiutare tante donne a comprendere che in realtà possono tenere il proprio bambino. Se l’aborto non fosse legale e normalizzato, molte più donne saprebbero accettare la propria maternità, dunque non ci sarebbe un’emergenza legata a tantissimi bambini bisognosi di adozione. Per lo stesso motivo è ridicola l’obiezione di chi sostiene che senza l’aborto avremmo grossi problemi di sovrappopolazione.

IL PROBLEMA DEGLI HANDICAP
Anche la presenza di handicap fisici e mentali non può giustificare l’aborto, perché accettandolo per questi casi lo si dovrebbe estendere, come possibilità, anche agli individui già nati: se una donna può abortire perché il feto è affetto dalla sindrome di Down perché allora non può uccidere un figlio che contrae un’invalidità fisica o mentale in seguito alla nascita, per malattia o incidente? Tra l’altro questo tipo di aborti è permesso anche oltre il terzo mese, perfino in momenti della gravidanza in cui, se si optasse piuttosto per un parto anticipato, il feto avrebbe delle chance di sopravvivenza.
Esistono comunque, ci dicono, degli handicap così gravi che farebbero durare comunque poco la vita del neonato, altri che invece condannerebbero i bambini a delle sofferenze molto grandi.

4) Questo feto ha 17 settimane. Normalmente la legge non consente l'aborto in questa fase della gravidanza, ma se il nascituro è affetto, per esempio, da sindrome di Dawn, può essere soppresso nonostante il suo elevato livello di sviluppo.



Le aspettative di vita
Discutiamo la prima questione: tutti dobbiamo morire, e dal momento che il tempo trascorre con continuità non è possibile stabilire un termine al di sotto del quale la vita è priva di significato e può essere soppressa in anticipo. Qualcuno ritiene che non valga la pena lasciar vivere un essere umano che non supererà la settimana di vita, ma si crea un precedente pericoloso perché in futuro si potrebbe ritenere priva di valore una vita che non va al di là di 2 anni, e poi di 4, ecc. E non è solo un problema riguardante i neonati, ragionamenti simili potrebbero essere utilizzati per sopprimere le persone anziane, alle quali si sa che spetta poco da vivere, o anche persone più giovani che però scoprono di avere una malattia che non lascerà loro molto tempo. In realtà la vita è fatta di istanti, e chi trova sensata solo quella basata su progettualità a lungo termine sta buttando fango addosso alla vita di tante persone, come alcuni portatori di handicap, che non possono che vivere alla giornata, senza guardare troppo avanti, ma che magari sono anche felici di vivere in quel modo. È una mentalità sfruttatrice e opportunistica, da freddo contabile, quella che valuta le vite solo in base a cosa consentano di realizzare.
Comunque esistono degli studi che sembrano indicare che le madri che, pur sapendo che il loro figlio malato non sarebbe sopravvissuto che poche ore, hanno comunque portato fino in fondo la gravidanza successivamente hanno avuto molti meno rimorsi e rimpianti rispetto a quelle che hanno abortito. A quanto pare è un bene anche per la madre se la gravidanza non viene interrotta.

Il legame tra genitori e figli
Si potrebbe però sostenere che la morte di un figlio è un dramma enorme per dei genitori, e che quindi è meglio risparmiarglielo quando si sa in anticipo che il bambino non vivrà per molto. Però l’aborto è già l’uccisione del figlio, e se non è vissuto con pari sconvolgimento è perché la realtà viene nascosta o edulcorata con le bugie di stampo abortista, bugie che però non è lecito sostenere per tutte le aberrazioni che comportano e che abbiamo già discusso ampiamente. Ne consegue che i genitori non possono che essere consapevoli di ciò che è l’aborto e quindi trovarsi già in quel caso nella situazione drammatica di veder morire il proprio figlio, con l’aggravante che in quel caso il piccolo è stato ucciso con la loro complicità. Certo, quando il figlio è nato lo si può vedere, e questo crea un legame ancora maggiore, ma a parte la possibilità di scegliere di non vederlo, se la cosa risulta davvero così temibile, c’è un’altra questione da evidenziare: se è vero che la morte di un figlio è un’esperienza di amarezza incomparabile, è anche vero che tenerlo in braccio per la prima volta è un’esperienza di una dolcezza di pari intensità, e quindi l’aborto toglierebbe ai genitori questa ricchezza. C’è da riflettere comunque su una cosa: se si ritiene che il solo vedere il proprio figlio possa innescare con lui un legame così tanto più forte di quello che si aveva con lui mentre era nell’utero, con che faccia tosta allora si consente, in tutti gli altri casi, che una donna spaventata possa ricorrere così facilmente all’aborto, dando per scontato che non potrebbe imparare ad amare il proprio figlio e a benedirne la venuta al mondo?
Ad ogni modo, solo solidarietà e comprensione per ciò che devono passare questi genitori, però non è lecito accettare la soppressione di un essere umano solo per risparmiare un dolore ad un altro. Se accettiamo questo principio ora, poi per coerenza dovremmo accettarlo in tanti altri casi, con conseguenze aberranti.

Cosa può offrire la medicina
Un altro aspetto da non sottovalutare è che molto spesso le previsioni mediche su durata e qualità della vita di neonati affetti dalle più disparate patologie sono state smentite dalla realtà, e questo significa che anche la più ragionevole previsione nefasta non è necessariamente una condanna ineluttabile, tanto più che la scienza medica avanza, e per di più avanza anche grazie all’osservazione di questi bambini che nonostante tutto vengono fatti nascere, e nel suo avanzare può pervenire a rimedi e cure in grado di ribaltare anche le situazioni più nere. Una cosa è certa, non c’è motivazione nel trovare nuovi trattamenti per certe malattie se chi ne è affetto non viene mai nemmeno fatto nascere.
Per quanto riguarda le sofferenze arrecate da certi quadri clinici molto drammatici, non si deve dimenticare che esistono le cure palliative e la sedazione, la sofferenza non è dunque una condizione inevitabile.

CHIUNQUE PUÒ PARLARNE ED È GIUSTO PARLARNE
Quando un antiabortista espone le sue idee, spesso si sente rispondere “Ma a te cosa toglie se le donne possono abortire? Se per te è sbagliato tu non farlo, ma non imporre la tua volontà agli altri”.
Questa obiezione è una sciocchezza, naturalmente se si ritiene l’aborto un crimine orrendo non è possibile stare a guardare gli altri che lo compiono senza tentare di fare qualcosa. L’assurdità di certe frasi emerge chiaramente se le applichiamo ad altre cose sulla cui nefandezza c’è un consenso molto più ampio: “Ma a te cosa toglie se quello picchia sua moglie? Se per te è sbagliato tu non farlo con la tua, ma non imporre la tua volontà agli altri”, giusto per fare un esempio.
Altra frase standard è “Non puoi pronunciarti se non ci sei passato”. A parte il fatto che tra gli antiabortisti c’è anche chi “ci è passato”, e dunque nel gruppo si potrà sempre pescare qualcuno a cui non si può rifilare questa risposta, una frase di questo tipo non ha alcun senso, perché la bontà di un’azione la si valuta anche senza conoscere direttamente il contenuto emotivo di certi contesti. In fondo anche ciò che prova un serial killer è precluso alla maggior parte di noi, ma questo non ci impedisce di tentare di ostacolarlo e consegnarlo alla giustizia, perché le sue azioni sono terribili e dannose, indipendentemente da cosa l’abbia spinto a compierle. Per l’aborto è la stessa cosa: l’azione è sbagliata e produce danni, quindi va impedita, poi tutto ciò che hanno provato i genitori che sono ricorsi all’aborto può essere utile per aiutarli, per valutare il loro grado di consapevolezza e responsabilità ecc, ma è del tutto ininfluente alla valutazione dell’aborto e di cosa fare di fronte ad esso. In realtà argomenti del tipo “Non puoi pronunciarti perché non ci sei passato” non sono dei veri e propri argomenti ma degli escamotage per ridurre al silenzio l’avversario dialettico senza doversi confrontare realmente con le sue argomentazioni.
Comunque si potrebbe anche dire che spesso è proprio la persona non coinvolta che ha la visione più lucida delle cose, quindi ben vengano i tanti che “non ci sono passati”.
Chiaramente, per gli stessi motivi qui esposti, è inaccettabile anche la posizione secondo la quale solo le donne dovrebbero poter parlare di aborto. Ma comunque, se anche avesse senso questa pretesa, la situazione cambierebbe poco: tra gli oppositori all'aborto ci sono anche moltissime donne, alcune delle quali hanno anche abortito in precedenza, quindi quando si dice ad un uomo pro-life che non può parlare perché non ha un utero si perde solo tempo, infatti questi ci metterà poco, se è un militante, a presentare in vece sua una compagna di militanza a cui non si potranno disconoscere credenziali.

IL RICORSO AI CASI ESTREMI
Comunque, a conclusione di questa parte del discorso, è importante far notare alcune cose, per esempio che gli abortisti tentano di legittimare l’aborto in qualsiasi caso attraverso il ricorso a casistiche estreme e marginali: parlano soprattutto di donne stuprate, nascituri con gravissime malattie ecc, ma la verità è che la stragrande maggioranza delle gravidanze indesiderate è imputabile al fallimento dei metodi anticoncezionali (nessuno dei quali è garantito al 100%) o a condotte sessuali superficiali, e che tra i malati che vengono abortiti ce ne sono alcuni, come i Down, che in realtà oggi riescono ad avere una vita abbastanza normale e piena di significato. Nonostante la legge lo vieti, l’aborto è ancora soprattutto uno strumento di controllo nascite, e quindi poco guadagnerebbe la causa abortista se anche si riuscisse a dimostrare, cosa che non accade, che l’aborto è lecito quando la donna è stata stuprata o il bambino è gravemente malato. A proposito di casi estremi, ogni tanto si va a prendere quei casi ultrararissimi, ma effettivamente esistenti, di bambine rimaste incinte in seguito ad abusi, bambine per le quali gravidanza e parto sarebbero un trauma, oltre che un reale pericolo per la loro vita. Purtroppo queste bambine hanno già subito degli abusi, e ciò che può venir dopo al confronto non è probabilmente un trauma di pari intensità, e soprattutto non è un trauma minore di quello che rappresenterebbe un raschiamento (che tra l’altro, come già detto, non è esente da rischi per la salute di chi lo subisce). Dal momento che dall’altra parte c’è comunque un altro essere umano, data la poca differenza tra una scelta e l’altra è ovvio che sia preferibile salvare il nascituro. Il momento del parto potrebbe essere realmente pericoloso per la piccola madre, questo è vero, ma in casi come questo è possibile, e sicuramente lecito, indurre un parto precoce in modo che il feto abbia ancora ridotte dimensioni e possa venire alla luce senza causare danni alla madre.

LA DEFINIZIONE DI ESSERE UMANO
Una piccola curiosità: spesso a chi si batte contro l’aborto a tutela degli esseri umani viene chiesta, provocatoriamente, la definizione di essere umano. In realtà però l’antiabortista non è tenuto a rispondere, benché esistano delle risposte che potrebbe legittimamente dare, perché i suoi ragionamenti fanno tranquillamente a meno di questa definizione, che risulta ai fini dei suoi discorsi del tutto irrilevante. Infatti l’antiabortista riconosce feto ed embrione come umani a partire da un dato condiviso anche dagli abortisti, e cioè il fatto che neonato, bambino, adolescente e adulto siano tutti umani, nonostante le loro differenze. L’antiabortista semplicemente si rende conto che l’embrione è in relazione al feto e il feto al neonato come il neonato è in relazione al bambino, il bambino all’adolescente, l’adolescente all’uomo adulto. Questo gli consente di stabilire che già prima della nascita il concepito è umano, senza aver bisogno di dare una definizione precisa di questo concetto. Sono piuttosto gli abortisti, che contraddicono con la loro posizione delle cose che loro stessi credono, a dover giustificare le loro idee dando una nuova definizione di essere umano. Ad ogni modo non bisogna essere schiavi delle parole: se per gli abortisti solo chi è nato è essere umano, l’antiabortista potrebbe anche cedere questo termine all’avversario e accettare che venga interpretato in questo modo curioso, ma la realtà continuerebbe a presentare la continuità dell’ontogenesi, e la logica continuerebbe a smascherare come arbitrari e fallaci tutti i criteri messi in campo per stabilire che prima di un certo grado di sviluppo il concepito può essere soppresso. Potremmo anche non chiamarlo più essere umano, potremmo trovare qualsiasi altro termine, ma se non si uccide un nato da donna per coerenza non si può uccidere nemmeno un nascituro da donna.

LA NAVE DI TESEO
Ancora una cosa: per quanto possa, debba, sembrare assurdo a tutte le persone normali, qualche abortista ha provato malamente ad abbozzare una difesa dell’aborto basata sull’idea che il ricambio di materiale di un organismo sia sufficiente a considerare come due individui distinti delle diverse fasi di un’unica ontogenesi. Per intenderci, questi eccentrici sostengono che le cellule che ci costituiscono non sono più quelle che avevamo da feti, e che quindi a conti fatti noi non possiamo che essere qualcosa di diverso.
A parte il fatto che bisognerebbe vedere quanto tempo occorre perché del materiale, cellulare, molecolare e atomico del feto non rimanga più proprio nulla (e si scoprirebbe sicuramente, per forza di cose, che l’individuo per cui troviamo l’uccisione inaccettabile ha ancora moltissimo in comune con quello che invece sopprimiamo senza problemi, essendo le due fasi successive e quindi non separate da una grande distanza temporale), il vero problema è che qui si sta rispolverando il vecchio paradosso della nave di Teseo, che paradosso non è non appena ci rendiamo conto che un sistema non è definito dalle sue parti materiali ma da una rete di relazioni fondamentali tra parti materiali, che in se stesse potrebbero anche mutare senza problemi. L’organismo vivente è definito da una rete relazionale di processi che si autosostiene, non dalle singole componenti fisiche. Il bruco è lo stesso essere che poi riconosciamo come farfalla, c’è poco da discutere.

L’OBIEZIONE DI COSCIENZA
Chiudiamo con un argomento diverso ma connesso al principale: l’obiezione di coscienza.
Tanto per cominciare non è affatto vero che gli obiettori sono talmente tanti da rendere impossibile o quasi abortire, si tratta di una menzogna propagandistica. La cosa non ci interesserebbe nemmeno, perché naturalmente riteniamo l’aborto ingiusto e quindi sarebbe un bene che le donne non riuscissero a compierlo, ma comunque una donna che decide di ricorrervi dev’essere pronta a farsi anche un viaggetto in treno, come minimo, nell’eventualità assai improbabile che dalle sue parti non si trovi un medico non obiettore.
Veramente assurdo che si pretenda la scomparsa dei medici obiettori sulla base di queste argomentazioni, perché l’obiezione di coscienza è tutelata dalla stessa legge che consente l’aborto, e perché in caso di penuria di operatori dell’aborto le accuse dovrebbero essere rivolte al sistema sanitario nazionale che deve organizzarsi per garantire il servizio, non ad onesti ginecologi che hanno scelto di tutelare la vita. Assurdo blaterare che gli obiettori lavorerebbero di meno, perché mentre non fanno aborti faranno altro, e mentre i non obiettori faranno aborti, il resto del lavoro che avrebbero potuto fare sarà fatto da altri, senza contare che in entrambi i casi il tempo lavorativo verrà sempre pagato. C’è chi dice che un obiettore, sapendo di non voler fare aborti, dovrebbe evitare di studiare per diventare ginecologo, e che la legge che consente l’obiezione di coscienza è stata fatta per venire incontro a quelli che all’epoca erano già ginecologi, e che avrebbero potuto trovarsi tutto ad un tratto in una situazione spinosa per la propria coscienza che non avrebbero potuto prevedere. In realtà però un ginecologo può avere una crisi di coscienza in qualsiasi momento della sua vita, e dunque anche all’apice della sua carriera, e quindi potrà sempre succedere che una persona diventi ginecologa convinta di voler fare aborti per poi cambiare idea mentre oramai è già in attività. Questo significa che quelle presunte condizioni che giustificarono l’obiezione di coscienza nel momento di promulgazione della legge in realtà non sono cessate ed esistono perennemente, mantenendosi sempre valide. Fa comunque ridere l’idea che le stesse persone che lamentano una falsa scarsità di medici disposti a fornire il servizio abortivo siano poi disposte a privare le donne di un grandissimo numero di ginecologi, solo perché tra i servizi da loro offerti non rientra l’interruzione di gravidanza. Se non è un danno inferto alle donne questo non sappiamo quale altro possa esserlo.
Comunque a chi dice “Sei obiettore? Non fare il ginecologo, perché se fai il ginecologo sai che potresti dover effettuare degli aborti!” si potrà sempre rispondere “Non vuoi figli? Non fare sesso, perché se fai sesso sai che potresti diventare un genitore!”

Comunque il concetto di “vicino” è soggettivo e deformabile a piacimento per fini propagandistici, quindi non si deve prestar fede ai racconti di donne che hanno trovato difficoltà ad abortire, ma al massimo ai racconti di donne che, data la difficoltà ad abortire, sono state costrette a tenersi il bambino o a ricorrere al fai da te. Stranamente storie di questo tipo non se ne sentono, evidentemente proprio perché sul territorio italiano il medico abortista non si trova più lontano da qualsiasi altro tipo di servizio, compresi molti servizi di maggior necessità e urgenza, poi è logico che per opportunismo si può, di volta in volta, ridefinire come più conviene la distanza minima per cui una cosa può essere considerata vicina. Parlando con certe persone si finisce col sentir dire che il medico abortista dovrebbe trovarsi sotto casa della donna che ne necessita!
Si noti comunque come l’attivista che incolpa lo stato di non investire risorse per migliorare questo tipo di servizio, disattendendo nei fatti la legge, non alza mai la voce per denunciare la mancanza, questa vera, di tutto un sistema che cerchi di dissuadere la donna dall’abortire e di evitare che l’aborto venga utilizzato come strumento di controllo nascite. Ricordiamo che la legge prevederebbe anche questo tipo di servizi e interventi, ma nei fatti non ci sono operatori che svolgano questi compiti e se qualcuno prova a rimediare facilmente viene attaccato e accusato di non rispettare le donne.

Quanto gli attivisti pro-aborto tengano alle donne è dimostrato dalla soddisfazione con cui hanno accolto le nuove disposizioni secondo le quali le donne potranno abortire farmacologicamente a casa, da sole. Questo provvedimento lascia le donne da sole in un momento delicatissimo dal punto di vista medico e psicologico, si tenga presente che questi farmaci non sono privi di rischi e controindicazioni, che il loro effetto a prescindere è comunque nella maggior parte dei casi uno shock per il corpo, e che la donna si troverà probabilmente a dover vedere il frutto del suo aborto immerso in un lago di sangue e a doverlo scaricare personalmente nel water (attenzione perché, per l’intervallo di tempo in cui il farmaco può essere assunto, l’embrione può essere sufficientemente formato da avere l’aspetto di un piccolissimo bambino, l’immagine che queste donne dovranno sopportare sarà di una violenza inaudita).
Ironico che ad esultare per questo siano le persone che in tutti questi anni hanno sempre difeso l’aborto sostenendo che quando si era costretti ad effettuarlo clandestinamente le donne andavano incontro a pericoli per la salute e ad una penosa solitudine.

FRAINTENDIMENTI COMUNI
Forse qualcuno ricorderà che tempo fa, ad una manifestazione pro-life, gli attivisti hanno regalato ai convenuti un modellino a grandezza naturale di un feto di 10 settimane. Gli ambienti abortisti italiani si sono subito fiondati a ridicolizzare questa iniziativa, colpevole a loro dire di aver modificato le reali fattezze di un feto di 10 settimane allo scopo di renderlo più somigliante ad un neonato.
Tra le varie cose si affermò anche che le reali dimensioni di un feto di 10 settimane dovessero aggirarsi attorno ai 2 cm, in contrasto coi 5-6 cm del modellino. 
In questo caso in realtà i sostenitori dell'aborto, che molto spesso amano avere la parola "scienza" in bocca durante le loro esibizioni retoriche, si sono mostrati molto poco informati su fatti medici di libero accesso. Il modellino dei pro-life era accurato, nelle sembianze e nelle dimensioni, e l'idea che un feto di 10 settimane debba essere più piccolo deriva probabilmente dai primi siti mostrati da Google quando si fa una ricerca su questo argomento. Si tratta per lo più di siti dedicati allo scambio di opinioni tra mamme in gravidanza, con poche pretese di approfondimento scientifico. Quello che conta comunque è che il dato accettato dai pro-aborto è in effetti giusto, ma mal interpretato. Quando si dice che un feto di 10 settimane è grande appena 2 cm il riferimento non è all'età effettiva del feto ma alla cosiddetta età gestazionale, cioè un'età misurata a partire dall'ultima mestruazione della madre e non dal concepimento. Il punto è questo: l'età effettiva di un nascituro ovviamente parte dal momento del concepimento, tuttavia spesso non è possibile stabilire quando questo si è verificato precisamente e dunque il medico fa riferimento all'ultima mestruazione avuta dalla madre. Ne consegue un'età, detta età gestazionale, che in media è maggiore di 14 giorni dell'età del concepimento, cioè quella effettiva. In pratica gli antiabortisti hanno cercato su Google la dimensione di un feto di 10 settimane, ma l'hanno trovata in relazione all'età gestazionale anziché a quella vera. Ecco spiegato perché a loro risultava un feto significativamente più piccolo: non si trattava di un feto di 10 settimane effettive, ma di un feto di circa 8 settimane.
Questa vicenda dimostra che i tanto vituperati modellini dei pro-life sono in realtà necessari, perché la maggior parte della gente ha idee molto confuse sulle varie fasi di sviluppo di un feto umano.


5) Questo grafico mostra la dimensione del feto in funzione dell'età. Si vede bene che attorno alle 10 settimane in effetti il feto ha una dimensione che si aggira sui 5 cm, proprio come sostenuto dai pro-life

Ma non è questo l'unico equivoco in cui sono caduti i sostenitori dell'aborto. A titolo di esempio, si ricorda la condivisione sui social network di un'immagine che, secondo i pro-aborto, mostrava che un nascituro umano non possedeva delle fattezze marcatamente antropomorfe nemmeno in fasi avanzate della gravidanza. In realtà i numeri posti accanto ai vari feti ed embrioni non indicavano il numero di settimane ma fungevano semplicemente da etichetta per distinguere una fase dall'altra e collocarle tutte cronologicamente. L'equivoco che si è creato è particolarmente grottesco, perché accanto a questi numeri in realtà viene riportata tra parentesi anche l'età in giorni di ogni nascituro rappresentato, dunque non è giustificabile che si scambi, com'è avvenuto, un embrione di soli 28 giorni per un feto di 13 settimane.


6) Com'è chiaro dalle scritte aggiunte, chi ha condiviso questa foto ha creduto che i numeri in grande accanto ai feti e agli embrioni indicassero l'età in settimane, nonostante tra parentesi sia indicata la vera età in giorni.

Un ultimo equivoco da chiarire è già stato affrontato precedentemente, ma ripetiamo qui in modo più esteso il punto della questione: c'è gente che ritiene che "feto" ed "embrione" designino qualcosa di diverso da un essere umano, perché altrimenti non si comprenderebbe l'uso di questi termini diversi. In realtà "feto" ed "embrione" non escludono che l'essere ai quali si riferiscono sia anche umano, infatti non designano la specie di appartenenza dell'individuo ma due sue particolari fasi di sviluppo. "Embrione" e "feto" sono dunque della stessa categoria logica di "neonato", "adolescente", ecc. Ossia designano semplicemente momenti diversi di una stessa ontogenesi. Nessuno ritiene che un adolescente che va a scuola non sia umano solo perché lo definiamo "adolescente", e questo perché l'adolescente che va a scuola è anche umano, semplicemente non è bambino, adulto, anziano, feto o embrione. Embrione, feto, neonato, bambino, adolescente, adulto e anziano sono solo le diverse fasi di sviluppo di un individuo di una determinata specie, che nel nostro caso è quella umana. Il fatto che embrione e feto, come anche adolescente, adulto ecc, designino solo fasi di sviluppo, lo si vede anche dal fatto che li ritroviamo uguali in altre specie: esiste l'embrione di topo, l'embrione di scimmia, l'embrione di tartaruga ecc. E naturalmente l'embrione umano, che si distingue dagli altri per l'appunto perché è umano, quindi non ha senso sostenere che l'embrione, come anche il feto, non siano già esseri umani.
Chi gioca con questi termini sta evidentemente tendendo una trappola linguistica per confondere l'interlocutore.


FONTI PER LE IMMAGINI:
Le immagini 2,3,4 sono tratte da"Lo sviluppo prenatale dell'uomo", di Keith L. Moore e T.V.N. Persaud, EdiSES 2003.
L'immagine 5 è tratta da "Embriologia", di P.L. Williams e C.P. Wendell-Smith, edi-ermes 1983.

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